
Il pepe più diffuso è il pepe nero, si usano però anche il pepe bianco ed il pepe verde. Tutti derivano da una stessa pianta, il Piper nigrum, originario dell’India meridionale. Questa pianta è botanicamente definita una ‘liana semilegnosa’ con portamento rampicante-strisciante e da adulta raggiunge facilmente vari metri di lunghezza. Quando la pianta ha circa 5-6 anni di età incomincia a fruttificare e continua a farlo anche per 40-50 anni.

Esiste poi il pepe lungo (Piper longum) originario anch’esso dell’ India. È meno noto ma ha proprietà assai simili a quelle del pepe nero, così simili che gli antichi botanici pensavano erroneamente che i ‘due pepi’ fossero due forme di frutto di una stessa pianta. La spezia del pepe lungo è il frutto essiccato del Piper longum che consiste in una specie di piccola pannocchia di 2-3 cm formata da piccoli frutti uniti assieme.

Nel medioevo giungeva nel bacino del Mediterraneo attraverso la “Via dell’Incenso” che dall’India passava attraverso il Mare Arabico (oggi Mar Rosso) ed entrava nel Mediterraneo attraversando il Sinai. Qui giungeva a Venezia, la regina del mare e delle merci di tutto il mondo allora conosciuto.
Il controllo commerciale del pepe (e di tutte le altre spezie) era dunque in mano ai veneziani ma in parte anche agli arabi nei porti del Mar Rosso da cui a quei tempi transitavano quasi tutte le merci provenienti dall’Oriente. Alla metà del ‘400 i portoghesi si erano stufati di pagare a peso d’oro tutte le merci orientali ai veneziani. Essendo un popolo di marinai, intrapresero una estesa esplorazione geografica per scoprire se ci fosse un passaggio che consentisse di scavalcare gli arabi ed i veneziani alla ricerca della cosiddetta ‘rotta delle spezie’. Bartolomeo Diaz, nel 1488 trovò il passaggio tra l’Oceano Atlantico e quello Indiano, doppiando il Capo di Buona Speranza.

Non fu difficile per Vasco da Gama convincere il re di Calicut che era meglio concedere ai portoghesi il controllo totale del commercio del pepe senza fare tante storie e così l’esploratore se ne tornò a Lisbona circondato di gloria e con il soprannome di ‘Ammiraglio dell’Oceano Indiano’. Da qui iniziò la storia dell’impero portoghese in oriente che si estese dall’Africa, all’India e al Brasile.
Anche agli spagnoli nel frattempo era venuta voglia di controllare il commercio delle spezie, ed in particolare quello del pepe, possibilmente cercando di togliere potere alla solita Venezia, che comunque continuava a controllare una bella fetta di mercato. Ma ci voleva un modo di arrivare in India da tutt’altra parte, possibilmente evitando gli scorbutici vicini portoghesi. E così quando arrivò a Barcellona un tale Cristoforo Colombo che sosteneva di poter ‘buscar el Oriente por el Occidente’ gli spagnoli drizzarono le orecchie e gli dettero tutto l’appoggio possibile.

Ma cerchiamo di capire cosa c’è di così speciale nel pepe da renderlo responsabile di guerre e imprese esplorative. Quando mettiamo in bocca un cibo ‘pepato’ quello che sentiamo non è un sapore, è piuttosto una sensazione di forte calore mediata dalle fibre nervose che trasmettono al nostro cervello un vero e proprio messaggio di dolore, non troppo diverso da quello che si otterrebbe mettendo bocca un boccone che scotta. Ma si tratta di calore e dolore del tutto ‘virtuali’ perchè in bocca non abbiamo niente che scotti... Uno si potrebbe domandare perchè, con tutte le sofferenze della vita, uno debba andare a cercare il modo per sentire dolore anche mentre mangia. La risposta sta nella reazione immediatamente successiva che il pepe (e in generale tutte le spezie piccanti) scatena indirettamente nel nostro cervello subito dopo quel piccolo dolore: viene infatti rilasciata una gran quantità di endorfine, ormoni endogeni dotati di proprietà analgesiche simili a quelle della morfina e dell’oppio... ma molto più potenti. Come la morfina, le endorfine rilasciate in circolo provocano un leggero stato di euforia, seguito in qualche caso da sonnolenza. La quantità di endorfine rilasciata è direttamente proporzionale al grado di ‘dolore’ trasmesso dalle fibre nervose, e questo è direttamente proporzionale alla quantità di pepe che si mette in bocca, e forse questo può spiegare perchè in alcuni individui si sviluppa una specie di ‘dipendenza’ dai cibi molto piccanti. È interessante ricordare poi che una simile produzione di endorfine è rilevabile alla fine di un rapporto sessuale.

La forte sensazione provocata dal pepe nel palato è in grado di ‘addormentare’ la capacità di distinguere alcuni sapori, fra cui quello del salato. Non è strano dunque che fin dalla antichità il pepe fosse usato anche come adiuvante nella conservazione della carne, che veniva conservata con abbondante uso di sale. Un altro sapore ‘coperto’ dal pepe è un gusto di rancido, ed è per questo che le scarse possibilità di conservazione della carne nel passato hanno giustificato l’uso del pepe per mascherare prodotti non esattamente freschi.

Questa varietà di peperoncino è talmente piccante che anche la raccolta deve essere fatta con i guanti per evitare il formarsi di vesciche nelle mani! La molecola responsabile della ‘piccanticità’ è la Capsaicina un alcaloide che, come la Piperina del Piper nigrum, va a stimolare i recettori del dolore nella bocca scatenando una sensazione di ‘bruciore virtuale’. In più nel peperoncino si trovano anche i cosiddetti ‘capsaicinoidi’, derivati della Capsaicina, che aumentano e amplificano l’effetto ‘piccante’ del ‘chili’.
La capsaicina e la piperina non hanno effetto diretto sulle emorroidi, contrariamente a quanto si pensa. Poichè però questi composti non subiscono alcuna degradazione metabolica transitando nell’intestino, mantengono pressochè intatta la capacità di stimolare il recettori nocicettivi del dolore lungo... tutto il tragitto. La sensazione di dolore è però del tutto ‘virtuale’ e viene mitigata o del tutto eliminata per esempio se le ‘molecole piccanti’ sono ingerite in giusta dose insieme a cibi proteici.

Uso moderno in fitoterapia. Il pepe lungo viene utilizzato oggi solo nella medicina popolare in Oriente. Il pepe comune è considerato più come spezia culinaria, ma un uso moderato e controllato dei preparati fitoterapici (tinture, estratti e olio essenziale) può essere di aiuto, soprattutto a favore dell’apparato gastroenterico. I preparati a base di peperoncino hanno qualche interessante applicazione per uso topico, per le proprietà rubefacenti, antireumatiche e antinevralgiche. Sull’apparato gastroenterico il peperoncino ha proprietà toniche, stimolanti ed eupeptiche. Nell’apparato respiratorio ha proprietà espettoranti ed antisettiche.

Le Compagnie delle Indie Orientali (inglese e olandese) furono fondate nel 1600 per finanziare le missioni dei navigli che si recavano in Oriente a far incetta di pepe e altre spezie. I mercanti potevano così rischiare solo una quota di una spedizione anzichè il carico intero e si mettevano in società con altri mercanti dividendo tra di loro i rischi ed i guadagni; a poco a poco i mercanti più ricchi arrivarono a dividersi anche quote della stessa Compagnia, che vennero chiamate ‘azioni’.
Due piccole molecole dunque, la piperina e la capsaicina, per la loro unica capacità di farci sentire un ‘dolore virtuale’ in bocca e poi un piacere (sempre virtuale) nel cervello, sono state responsabili di guerre, ma anche di aver stimolato l’uomo a compiere la circumnavigazione del globo e a fare grandi scoperte geografiche, e per finire sono coinvolte anche nella nascita dei moderni meccanismi del mercati azionari della società capitalistica moderna. Pensiamoci, per esempio la prossima volta che diamo un morso al panpepato, o quando con gli amici ci facciamo due spaghettini aglio, olio e peperoncino.